Non credo che questo dittico d'esordio del teologo-operaio (come si autodefinisce) Emanuele Tonon sia stato scritto con l'intento di inchiodare i cattolici ingenui e teologicamente meno avvertiti, né tantomeno di fornire un supplementare appiglio agli sfegatati negatori del divino, gli indifferenti, gli atei convinti. Piuttosto nasce come esigenza di ricerca personale, folgorante restituzione in forma letteraria; declinazione narrativa di una ricerca teologica ancora in pieno fermento. Consumata dall'evidenza (ineluttabile per lo scrittore) di un Dio cieco e sordo rispetto alla sua creazione: che non torna, rimane assente. Un Dio pregato e bestemmiato, contumace ma pur sempre invocato, anche quando la ragione ne ha certificato l'evidente latitanza, la sua onni-impotenza a incidere nella vita dell'uomo. Vita dove l'unico vangelo vincente, da sempre, è la ragione del male: «dello sfavillante Lucifero», dei suoi tanti imbellettati leccaculo.
Trinitariamente,
la prima parte del libro, dal sintomatico titolo Sotto il sole di
Lucifero, è segnata dal racconto della perdita di Dio, lo sgretolarsi di
un'idea pacificata e accomodante di Dio, che coincide con la perdita
del padre, il suo ritornare alla terra, ucciso dal bestiale lavoro in
fabbrica. Il lavoro: «l'attività umana di cui si pasce Lucifero». Qui
monta la furibonda invettiva contro le condizioni bestiali della
fabbrica, il logorante progressivo disfarsi che il corpo,
inesorabilmente, subisce: vera e propria cartina di tornasole del male.
Il corpo, che diviene ricettacolo entro il quale ogni segno di perdita,
ogni annientamento dell'umano, viene ad ascriversi con malefica
impudenza. Il corpo casa perenne abitata dall'offesa. E il j'accuse
contro Dio s'intreccia con la denuncia sociale, lo sputtanamento
dell'ordigno letale della catena di montaggio, del logorio senza sosta
d'un vivere (come fu quello del padre dello scrittore) per cui è
inconcepibile ogni barlume di felicità; dei padroni sfruttatori le cui
ricchezze, le cui case e macchine e imperi (più o meno grandi, più o
meno enormi), sono stati edificati sul sangue, il disfacimento a cuor
leggero delle vite di operai-bestie. Che poi diventa per Tonon, la
dimensione infernale della vita segnata dal lavoro in fabbrica,
l'ipostatizzazione della mancanza totale di quella «pietà increata»
millantata dai vangeli cristiani (pietà che implora Dio di negare,
semmai riuscisse a vincere la sua cronica sordità, ai mandanti della
lenta consunzione dell'adorato padre).
Attraverso una scrittura
incendiaria, lirica, risentita, profondamente sferzante nella sua
scansione poematica che, nel trascorrere verticale dal corpo allo
spirito, dalla preghiera all'imprecazione, si fa fiato, carne, a tratti
poesia, Tonon trasforma infine il romanzo furente, scabro, potentemente
disadorno del padre, in un utopico apprendistato: ripristinare un
dialogo sott'altra specie con il padre defunto, trovare un nuovo codice
prima di sciogliere definitivamente il legaccio, lasciarlo andare; per
comprendere in ultimo che è il basso continuo del silenzio il solo
esperanto rimasto, la medesima lingua che parla la presenza di un Dio
che si nega e continuamente abdica, disattendendo le sue promesse (un
silenzio che può essere, al limite, raccontato, come fa Tonon, nel
terapeutico spazio della pagina). Il secondo retablo di scrittura ("Il
nemico. L'amore al tempo delle catacombe") ha invece come fuoco,
procedendo nella scansione trinitaria, la storia tragica del figlio
spretato e della sua sposa: una coppia sterile annientata
dall'impossibilità di procreare (il solo naturale modo di perpetuarsi
nel mondo), spargere un oltraggioso seme di continuità. Castrazione alla
vita che li ha indotti a una simbiotica ritrazione, una cosciente
anestetizzante follia, un viatico per incontrare, nella morte, la vera
vita. Per la moglie impazzita («muta per volontà, sterile per natura»),
il figlio va infatti inventando e riscrivendo una nuova e definitiva
Sacra Scrittura che sappia dare conto della loro sofferenza («la mia
vita adesso è questo scrivere del mondo che verrà»). Intrappolati tra
l'alienazione della fabbrica e la volontaria reclusione in una
casa-catacomba, si dividono tra il timore-tremore delle veglie
insopportabili e le parentesi, il vuoto offerto dal sonno: anticamera
del regno dei morti, della sola verità che interessi. E nella
soddisfazione di una simile sconfinata urgenza di dormire, la visione
continuata (del figlio) di un Gesù sopra la faccia che vieni a
imprigionarlo, avvinghiandolo a sé; specularità che traduce in icona
perfetta del romanzo, la presunta crocifissione dell'uomo in questa
«creazione tutta sbregata»: pur avendo Dio, nelle mani, negli occhi, nel
corpo, patire l'onta di non potersi affrancare dall'indicibile destino
di dolore e violenza.
Tonon non fa altro che invocare, esibire
questo scandalo: ne cartografa, tetragono, il non-senso, ne estrae di
continuo la radice quadrata. Come un esicasmo, un mantra ininterrotto
sull'assenza di Dio. Epperò si sbaglierebbe a considerare "Il nemico"
come il desolato e cupo attraversamento di un tunnel privo d'uscita: che
dalla catabasi nei recessi più oscuri dell'anima, suggerisce (chiamando
a testimone Thomas Merton) lo scrittore, non si può non ricavare
«quanto la speranza sia simile alla disperazione». È lungo questa
circolarità perennemente irrisolta che si dipana il senso del dittico
narrativo, e attorno alla quale pare coagularsi la voce, il tono, la
cadenza di un Tonon la cui prosa si staglia a siderale distanza dalle
facili banali lamentazioni di tanta autofiction nostrana. Sicché
l'autentica "eresia", sta forse nell'opzione "altra", controcorrente,
d'uno stile, d'un dettato letterario, immaginato (in tempi di cronica
anoressia minimalista della lingua) come sola forma possibile per
scrivere questo sconvolgente e allucinato romanzo d'amore.
Domenico Calcaterra
(già pubblicato su Lankelot, marzo 2011)
La recensione di Domenico mi conferma che questo libro va letto.
RispondiEliminaHo assistito ad una presentazione di Tonon a Roma, al FLEP.
Tonon mi pare che prima fosse monaco o prete, poi si è spogliato, ha rielaborato tanti crolli di valori; lesse delle pagine, rabbiosissime.
Uno di quei libri che ti possono aprire le porte della maturità, questa fu la mia impressione.
E forse per questo ho rimandato sino ad ora l'acquisto di questo libro.
Giorgio
Dalla recensione evinco una summa di materiale da smaltire davvero notevole! Ho l'impressione anche, che per capire taluni passaggi e fare i giusti accostamneti o distinzioni tra il narrato bibblico e la realtà in cui viviamo immersi, dovremmo conoscere o quanto meno avere qualche strumento in più per affrontare una lettura così notevole e senz'altro impegnativa.
RispondiEliminaOttima racensione.
L.I.
Da questa recensione è ben comprensibile il valore dell'opera, impegnativa in campo umanistico, Dolore, tragedia inspiegabile la vita in sé. Il "Dov'è Dio" di ogni uomo urlato davanti alle proprie sofferenze, Quell'uomo che non riesce a trovare sostegno in un altro uomo, che non riesce ad essere sostegno per nessuno, che, anzi, è preda dell'uomo stesso:; del prevaricatore, dello sfruttatore, del violento, dell'ingiusto. .Il grido contro malattie del corpo che finiscono per distruggere l'anima. Sicuramente da leggere. Splendida recensione
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