venerdì 28 marzo 2014

Verga, Pirandello, la Sicilia e l'Isola

“Il siciliano non ha affatto anima nel senso nostro della parola. Non ha nulla della nostra coscienza soggettiva, non ha idea spirituale di se stesso. Gesù interiormente tormentato, il tormentato Amleto, non esistono per il siciliano. Perché un uomo dovrebbe tormentarsi da se? Chiederebbe stupefatto Gesualdo. Non ci sono forse abbastanza bricconi a questo mondo per tormentarlo?”.Così scriveva nel 1937 David Herbert Lawrence in una saggio pubblicato in Italia sulla rivista Omnibus. Parlava di Giovanni Verga e del suo Mastro Don Gesualdo, uscito nel 1889. Parlava dei siciliani della generazione precedente. Parlava probabilmente dei siciliani in genere. È vero. Leggendo Verga è una delle cose che avverti immediatamente. A pelle. Le persone, i personaggi, sono “tutti esteriori”. La loro psicologia non è individuale, ma collettiva. loro comportamenti, anche i più brutali, animaleschi e apparentemente irrazionali, sono tutti perfettamente incasellati in un meccanismo di comportamenti sociali. In un sistema di azioni e reazioni proprio del villaggio antico. Sistema totalitario, con norme feree e indiscutibili, accettate da tutti perché gli orizzonti della gente che vi abita non vanno oltre i confini angusti del villaggio. Si tratta dell’unico mondo possibile, per loro. 

Un sistema di cui io, giovane paesano, abitante di un comune siciliano di diecimila abitanti, passato prossimo rurale e integralmente contadino, riconosco ancora le tracce nella mentalità delle generazioni di bisnonni, nonni e genitori. Non si tratta solo di “conformismo provinciale” o di “limitatezza di vedute”. Non solo. Qui stiamo parlando di qualcosa che governa sentimenti e manifestazioni di sentimenti. Pensiamo per esempio a tutte i vecchi riti “sociali” legati alla sessualità. Uno tra tutti, l’esposizione del lenzuolo insanguinato dopo la prima notte di nozze. Prova evidente della verginità della sposa, data in pasto alla comunità intera per avere la tanto agognata approvazione sociale. E intanto l’individuo in cui cresce qualcosa di difforme dalla norma, l’individuo che sente dentro di sè impulsi, sensazioni, sentimenti, non canonizzati, deve fuggire. O fuggire materialmente, scappando altrove. Oppure restare in paese e rassegnarsi ad un’esistenza da “deviato”, da “scemo” o “strano” del villaggio. Accettato proprio perché palesemente difforme.
La cosa bizzarra, poi, è che nella stessa letteratura siciliana, a meno di una generazione di distanza, nasceva l’esatto contrario. L’esaltazione dell’interiorità, lo svilupparsi di un dostoevskiano “uomo del sottosuolo” in salsa sicula. Arrivò Luigi Pirandello infatti, che produsse una delle più importanti “letterature dell’interiorità” d’Europa, una delle più filosoficamente ispirate, delle più profonde, intellettualmente oneste e sinceramente tormentate. Pirandello riuscì a rendere materia narrativa l’impalpabile conflitto interiore insito in ogni uomo. Riuscì a spiegare con parole semplici e lucide metafore e drammatizzazioni il difficilissimo nodo esistenziale del conflitto tra “vita” e “forma”. Con “Uno Nessuno e Centomila” realizzò uno dei più bei “romanzi filosofici” mai scritti. In confronto “La nausea” di Sarte, almeno come tecnica narrativa, è un’opera da dilettanti. Certo, si potrà dire, Pirandello aveva studiato a Bonn, in Germania. In fondo il suo retaggio culturale è più mitteleuropeo che siciliano. Giustissimo, però l’ambientazione delle sue opere è quasi esclusivamente siciliana. Addirittura usò il dialetto per scrivere numerose opere per il teatro. Un puro contorno folcloristico? Oppure un riflesso di un tipo d’uomo, il Siciliano, che nel suo essere isolano ha imparato ad esercitare la disillusione, e quindi pure il dubbio? Ma esisterà mai, questo Siciliano? Riflessioni a margine di un libro che mi è capitato nelle mani per puro caso. Si tratta de “L’Isola senza ponte” di Matteo Collura. Un viaggio nell’anima della Sicilia attraverso la rilettura dei grandi nomi della letteratura siciliana. Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Brancati, Bufalino, Sciascia. Un bel tentativo di spiegare l’essenza di questa isola stramba e allucinante, isola mai abbastanza isola ma che più isola non si può. 

Nino Fricano

5 commenti:

  1. C'è una Sicilia vecchia, quella di Rotary e Lions che organizzano cosucce in cui la metà dei relatori è assente per motivi sopravvenuti, che ancora richiama dominazioni e cose di questo tipo, che si trascina boccheggiante davanti ad un pubblico che per età boccheggiava ancora da prima, che boccheggia ancora di più. E' la Sicilia vuota della maggior parte dei siciliani.
    Poi ce ne sono altri, pochi, che provano a fare qualcosa, ma come scrisse Tomasi di Lampedusa, questi è meglio che partano, perchè a vent'anni già si forma la "crosta".
    E in tutto questo i siciliani si avvinghiano al mito della solita Sicilia mitizzata, in un gioco di specchi, in un rimando. Che sia conseguenza di un egolocalocalizzazione che ci ha posto in mezzo al mediterraneo - e che non percepiamo esattamente per quello che è: un pezzo di terra in mezzo al mare)
    Verga e Pirandello in modo diverso la dicono lunga sui siciliani, la dicono giusta, perchè per scrivere dei siciliani bisogna allontanarsene. Nino lo ha fatto, per esempio.
    E sicuramente indovina.
    GD

    RispondiElimina
  2. Io dei siciliani penso tutto il bene possibile. Non per campanilismo. Nè per orgoglio. Penso che siano estremamente intelligenti, isolani. Dell'isola. Della natura di questa isola. Accecante e sfiancante. Dai colori intensi, dai mari che allontanano e fanno sentire soli.
    I Siciliani sono uomini soli che combattono da sempre. La Sicilia vera dell'interno non esiste più. Non quella di Verga e Pirandello per intenderci. E non esiste più lo scandalo. Non nei termini che chiudeva la gente. Oggi la Sicilia è quella che è stata cambiata dai media e dai mezzi di comunicazione, togliendo le cose migliori e permettendone altre: l'emancipazione femminile ad esempio che non è dei soliti ceti. Questa globalizzazione non è ancora completa. Resta quel fondo di assenza di Stato che ha permesso il separatismo un tempo, il brigantaggio, la Mafia. Lo Stato è assente nel momento che lo Stato è rappresentato male. Lo Stato è assente se non abbiamo le risorse che permettono ad una sanità del Nord di essere competitiva.
    Ma torniamo a Pirandello e Verga. Di essi parlavamo.
    Due grandi della letteratura. Hanno il pregio di aver raccontato la roba, il latifondo, il mare dei pescatori, la miniera dei zolfatari, la civiltà contadina, il ceto medio borghese (Pirandello) e le convenzioni che gli erano proprie, lo hanno fatto come sapevano fare (bene) perchè sono grandi.
    Bisogna andare via. A 20 anni è già tardi. Io penso che non sarebbe più necessario se ci fosse il lavoro.
    Uno scrittore più moderno perchè successivo in ordine di età è Consolo. Lui è andato via per tornare in una necessità di fuga e ritorno. Mentre sta in una riunione sindacale al Nord (racconta) si estrania, entra in contatto con la parte più intima di sè. Sente i suoni della sua terra, così lontani ed estranei a tutto quello.
    Ci riporta ad una dimensione di estraneità rispetto alla civiltà italiana. Siamo estranei al resto del mondo e centrali al nostro nucleo greco e arcaico.

    RispondiElimina
  3. Io amo la Sicilia e i Siciliani. Sono quelli che fuori rendono meglio degli altri, renderebbero bene anche qui. Il problema non l'isola o la gente in senso generico,ma l'incapacità dell'uomo di provare amore per se stesso, e questo accade ovunque. Sono gli uomini di ingegno che possono fare molto come i Florio che fecero della Sicilia e di Palermo un centro di grande attrazione Europea. Tante. teste coronate svernavano a Palermo. Il liberty è sui libri d'arte, il barocco siciliano ha il suo capitolo. La Sicilia è magnanima anche con i delinquenti (dico io) ha le braccia sempre aperte, la gente ha un generosità sconosciuta in altri contesti sociali. Forse proprio quella oggi sta cominciando a scomparire. Questa è la mia paura.

    RispondiElimina
  4. Dimenticavo ottimo pezzo quello scritto da Fricano,

    RispondiElimina
  5. E' come se ti fossi allontanato dal quadro per coglierne tutti i particolari: è questa sensazione che mi hai trasmesso sulla Sicilia e i siciliani leggendo questa tua recensione!
    Hai colto molto infatti e ce lo hai restituito in maniera egregia.
    Noi siciliani siamo un po' come quelli definiti dal principe Fabrizio: "... ho detto i Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo."
    Bravo Fricano.
    L.I.

    RispondiElimina