Ma
sarà poi vero che possano bastare un quarto d’ora e un nuovo direttore
sanitario per scombussolare la vita dell’integerrimo dottor Peterson,
psicanalista dedito alla scienza che studia quelli abominevoli tra i cervelli
umani a Villa Verde?
A
quanto pare si, perché è questo che succede, intanto perché il dottor Peterson
è femmina ed è impersonata dalla Bergman, poi perché il primario ha le
sembianze fascinose di Gregory Peck, e infine perché siamo dentro a una
pellicola diretta nel ’45 da quel gran genio londinese che di nome e di cognome
tuonava come Alfred Hitchcock.
Il
film invece suona un po’ più dolcemente, fa “Spellbound – Io ti salverò”, ed è tratto dal romanzo “La casa del
dottor Edwardes” di Francis Beeding (1927).
Siamo
già nel periodo americano del regista, e anche se per i film che gli daranno
spessore e gloria eterna dovrà passare ancora qualche anno - ad esempio La finestra sul cortile è del ’54 – Hitch
è già conosciuto nel mondo del cinema per la maestria con cui ha girato i suoi
primi film, se pensiamo che il primo interamente da lui diretto è del 1925 (The Pleasure Garden – Il labirinto delle
passioni).
Hitch,
o anche Mr. Cock come ambiguamente amava farsi chiamare soprattutto in presenza
di donne sul set, usava firmare le sue opere, e lo ha fatto in quasi tutte, comparendo
in pochi fotogrammi e sempre in momenti di minor tensione – diciamo che divenne
una gara tra gli spettatori a chi lo avesse visto per primo? – e anche qui ha
lasciato la sua firma.
Al
minuto 37, almeno da come l’ho misurato io, nella hall affollatissima dell’Empire
State Hotel, esce per primo dall’ascensore insieme alla custodia di un violino –
ci sarà mai stato dentro per davvero uno strumento musicale? – mentre aspira con
soddisfazione un sigaro: altri tempi e altre libertà dove la salvaguardia dei
vizi individuali contava ben più della salute collettiva! Ebbene il grande regista
è inquadrato per due secondi esatti, ma dopo il primo viene già impallato da
una comparsa, e poi da un’altra ancora: esse hanno il compito e l’ardire di passargli
davanti e precederlo fino al bordo destro dello schermo, da dove poi esce di
scena.
Tanto
per dare una visione più allargata di questi suoi cammei, l’anno prima Hitchcock
dovette risolvere il problema di come apparire in “Lifeboat – Prigionieri
dell’oceano” (vedetevelo se potrete, perché è un vero capolavoro
cinematografico), cioè in un film incentrato interamente sulla vicenda angosciante
di sette naufraghi dentro una scialuppa quasi alla deriva nell’oceano! E non
poteva certamente entrare a far parte del cast: le sue apparizioni dovevano
essere fugaci, insignificanti, non pertinenti allo svolgimento della storia, ammesse
e permesse in quanto facente parte di una folla o di un gruppo di persone, e
comunque in circostanze che giustificassero il suo futile apparire! Ma il genio
è genio perché sa risolvere in maniera semplice un problema apparentemente
irrisolvibile: a un certo punto del film uno dei naufraghi apre un giornale, la
macchina da presa è posizionata esattamente di fronte a lui e inquadra, tra gli
annunci commerciali, la pubblicità di una cura dimagrante: l’inconfondibile silhouette
di Hitchcock spicca molto inerente e molto in carne in due pose, una prima e una
dopo la cura! Che ne dite, può passare come apparizione?
Va
bene, anzi ok visto che siamo negli States! Detto del gran regista, leviamoci
il pensiero del protagonista maschile, che di nome fa Gregory Peck e fa parte di un terzetto niente male, assieme
a Cary Grant e a James Stewart, diretti come lui più volte dal mago della
suspense.
Forse
il meno tagliato nel far vibrare le corde dell’ironia fra i tre, cosa in cui
eccelse invece Grant, interpretò in questo film una parte non facilissima;
doveva apparire debole e tormentato, e qualche volta addirittura perdere i
sensi, qualora avesse avuto la sventura di posare lo sguardo su righe scure e parallele
in campo bianco. La cosa più difficile per lui deve di certo essere stata quella
di accettare di rimanersene buono buono all’ombra della bella e talentuosa
svedese, per altro già molto famosa! Ma a modo suo vinse la sfida e da allora fu
un successo dopo l’altro per l’indimenticato interprete di Vacanze romane (’53) e del capitano Achab in Moby Dick (‘56’)!
Ma
vogliamo tornare al vero punto di interesse di questo film, almeno per me che
ne sono spellbound, cioè ammaliato?
La
Bergman ha quasi trent’anni nell’anno in cui il film viene girato, ed è già stata
protagonista in opere cinematografiche di successo come Il dottor Jekyll e Mr. Hyde con Spencer Tracy (’41), Casablanca
con Humphrey Bogart (’42) e Per chi suona la campana col mitico Gary Cooper (’43). E’ perciò nel fiore
della sua bellezza e già matura professionalmente, in più è bionda e quindi
incarna perfettamente l’attrice e la donna che Hitch preferisce dirigere.
Il
film, come tutti sapete (!), si regge sulla bellezza dell’occhio sinistro
dell’attrice, anzi sulla bellezza dell’accoppiata sopracciglio-occhio sinistro:
provate a guardare i primi piani che nel film sono frequenti e generosi, e provate
poi a venirmi a dire che non siete d’accordo!
D’altronde
siamo o non siamo nell’epoca delle divine dive?
Guardatela
nelle scene iniziali, quando algida rifiuta sorridendo le avances di un
collega, e poi fate caso a quanto è luminoso il famoso occhio sinistro, quando cede
ai tumulti del suo cuore e non può fare a meno di andarsi a prendere il primo
bacio del suo giovane primario. Quando poi inforca gli occhiali da lettura, cosa
che farà spesso avendo a che fare con taccuini e ricettari, diventa una vera e
propria divinità.
La
trama, nonostante sia un giallo, è abbastanza semplice: il giovane dottor Edwardes
/ Peck arriva a Villa Verde, clinica psichiatrica di alto profilo, per
sostituire il direttore Murchison costretto dall’amministrazione alla pensione
anticipata per via di un esaurimento nervoso manifestato nell’esercizio delle
sue funzioni. Ma una serie di piccoli incidenti fa capire che il giovane
dottore è un impostore e che soffre di amnesia. Anzi tutto sembra far pensare
che sia anche l’assassino del vero Edwardes. La Bergman / Peterson, fino ad
allora col chiodo fisso della scienza, inaspettatamente s'innamora di lui –
famosissima la scena del primo bacio tra i due che schiude una dietro l’altra
ben quattro porte bianche tutte in fila verso la luce - e da quel momento il
chiodo fisso sarà quello di dimostrare, con l'aiuto del suo vecchio professore
e della psicoanalisi, l’innocenza dell’amato.
Ancora
tre cose tre di questo film:
-
L’uso, nel doppiaggio italiano, di un elegantissimo Voi al posto del noioso
Lei.
-
La splendida riproduzione grafica del sogno del dottor Edwardes / Peck curata nientemeno
che da Salvador Dalí.
- L’utilizzo nel finale di una gigantesca mano, posizionata
davanti alla macchina da presa, che impugna una pistola come se ad impugnarla
fosse lo stesso spettatore: adesso che ci penso è la stessa inquadratura che
utilizzano moltissimi video game, i famosi sparatutto!
La mano segue verso destra, ansiosamente, la cauta uscita dalla
stanza della dottoressa Ingrid, tenendola sotto tiro fino alla chiusura della
porta; poi dopo una rotazione di 180 gradi, stavolta verso sinistra, la punta
contro chi sta guardando il film e spara!
Vedi come ci tratta Hitchcock? Non soltanto ci tiene in ansia per
come va a finire, ma ci spara pure in faccia!
Per quanto riguarda la mano artificiale basta porre la giusta
attenzione e il trucco, dovuto a ragioni puramente tecniche, si nota abbastanza
facilmente!
Voglio insinuare ancora una considerazione, molto personale e sempre
sul doppiaggio: era prassi frequente, in quegli anni, quella di commettere l’ingenuità
di fornire di voce “importante” un personaggio che invece recitava un ruolo non
di primo piano, tranne che nell’epilogo ovviamente, facendo intuire anzitempo a
qualcuno più sagace o a chi ci avesse solo fatto caso,
chi potesse essere il colpevole!
Se lo avesse saputo Hitch avrebbe di sicuro ideato un delitto, probabilmente perfetto, perché ciò non accadesse!
Giuseppe
Pippo Visconti
Questo film è in assoluto il più bello di Hitchcock, la tensione continua, l'elemento psicologico, la forchetta e le linee che lascia sulla tovaglia (che richiameranno una discesa sugli sci).. bravissimo Pippo!!!
RispondiEliminagd
Beato tu, Giorgio, che hai chiara la classifica di gradimento dei film del maestro! Io non riesco a metterli in ordine, però una certa preferenza per La finestra sul cortile debbo confessarla! Grazie a voi dell'ospitalità.
EliminaBella, questa recensione sott'olio!
RispondiEliminaMi ha fatto venir voglia di fare un ripasso delle opere del maestro e di vedere qualche pellicola che, nell'arco degli anni, mi è sfuggita.
Complimenti.
L.I.
Grazie Lucia, è un piacere condividere certe passioni con persone che si ammirano, anche se da lontano! Alla prossima occasione!
EliminaAdoro i film di Hitchcock e non mi stanco di rivederli. Grazie per la tua recensione.
RispondiEliminaNina
Grazie a te per l'attenzione, NIna!
RispondiElimina