Una Palermo femmina, ma anche maschia, anarchica e intrallazzatrice è il dipinto che Emma Dante affresca alla sua prima prova da regista cinematografica. Dal suo romanzo “Via Castellana Bandiera”, edito dalla Rizzoli, la Dante scrive la sceneggiatura del film omonimo insieme a Giorgio Vasta, altro scrittore palermitano D.O.C., e a Licia Eminenti. L’opera vince e convince nel complesso e rende maggiormente fruibile quella sperimentazione a cui la Dante ci ha abituati col suo Teatro. La trasposizione in pellicola esalta l’amara ironia già del romanzo e in più rende visibilmente godibili allo spettatore non passivo tutti i nostri conflitti di spazio e le contraddizioni materiali di una città e di un’Isola intera. Ciò che scorre sul grande schermo potrebbe apparire come una vicenda personale circoscritta a due, ma se questo è vero in parte, non sono solo i conti della palermitana Dante a rimanere sospesi, ma quello di tutti nella virtuale partita doppia dell’inconscio isolano. Nella piccola ambientazione di una strada tagliata all’interno di un’architettura disordinata, improbabile come casbah, dove immancabilmente svettano le parabole di Sky e il denaro contante che, più che sotto ai mattoni, viene custodito dentro al reggipetto delle “matri” e matrone e dentro i calzini lunghi, come nelle mutande, degli “omini di panza”, si consuma la vicenda delle duellanti automobiliste (Emma Dante ed Elena Cotta, rispettivamente Rosa e Samira) caparbiamente impuntate, in una strada senza direzioni obbligate da segnali, a non cedere la ruota, il passo, il movimento e la direzione all’altra per il raggiungimento della meta finale. C’è ignorante cattiveria in chi invece guarda dall’esterno e che travalica il conflitto delle due maschere silenziose che si studiano da dentro l’abitacolo. Gli altri, i vicini così come gli apparentati (più o meno parte della tradizionale famiglia ristretta come di quella nuova allargata), in apparenza sono pacifici ma subdolamente sollecitano il sangue e scommettono sulla vita dell’una contro l’altra.