lunedì 21 luglio 2014

Io ti salverò




Ma sarà poi vero che possano bastare un quarto d’ora e un nuovo direttore sanitario per scombussolare la vita dell’integerrimo dottor Peterson, psicanalista dedito alla scienza che studia quelli abominevoli tra i cervelli umani a Villa Verde?
A quanto pare si, perché è questo che succede, intanto perché il dottor Peterson è femmina ed è impersonata dalla Bergman, poi perché il primario ha le sembianze fascinose di Gregory Peck, e infine perché siamo dentro a una pellicola diretta nel ’45 da quel gran genio londinese che di nome e di cognome tuonava come Alfred Hitchcock. 

sabato 14 giugno 2014

“La mia isola è Las Vegas” (V. Consolo), di Domenico Calcaterra

La mia isola è Las Vegas
Esce postumo questo La mia isola è Las Vegas (Mondadori, 2012), l'ultimo libro, personalmente concepito e voluto dall'ultimo dei grandi siciliani, Vincenzo Consolo. Si tratta di un'ampia raccolta di racconti e prose narrative (52 per l'esattezza) che coprono un arco di più di cinquant'anni, dai primissimi esordi fino al 2011 (con qualche inedito ripescato dall'archivio dello scrittore). Stretto parente dell'altro grande libro di racconti consoliani (Le pietre di Pantalica, 1988), per la volontà di raccontare d'una civiltà sepolta, quella del mondo contadino colto al suo tramonto, per l'accendersi del racconto a partire dai luoghi della memoria, per quella voglia viscerale di percorrere e ripercorrere, possedere ogni angolo dell'Isola, oltre a testimoniare il profondo scavo da cui sono nati tutti i suoi libri maggiori (e qui troviamo non pochi incunaboli di Retablo, del Sorriso, di Nottetempo, dello Spasimo), il vero motivo d'interesse sta oggi nella possibilità di leggere tranquillamente questa silloge insieme come un'autobiografia intellettuale e come segno del suo personale manierismo sperimentale (mi si passi l'apparente ossimoro). 

venerdì 28 marzo 2014

Verga, Pirandello, la Sicilia e l'Isola

“Il siciliano non ha affatto anima nel senso nostro della parola. Non ha nulla della nostra coscienza soggettiva, non ha idea spirituale di se stesso. Gesù interiormente tormentato, il tormentato Amleto, non esistono per il siciliano. Perché un uomo dovrebbe tormentarsi da se? Chiederebbe stupefatto Gesualdo. Non ci sono forse abbastanza bricconi a questo mondo per tormentarlo?”.Così scriveva nel 1937 David Herbert Lawrence in una saggio pubblicato in Italia sulla rivista Omnibus. Parlava di Giovanni Verga e del suo Mastro Don Gesualdo, uscito nel 1889. Parlava dei siciliani della generazione precedente. Parlava probabilmente dei siciliani in genere. È vero. Leggendo Verga è una delle cose che avverti immediatamente. A pelle. Le persone, i personaggi, sono “tutti esteriori”. La loro psicologia non è individuale, ma collettiva. loro comportamenti, anche i più brutali, animaleschi e apparentemente irrazionali, sono tutti perfettamente incasellati in un meccanismo di comportamenti sociali. In un sistema di azioni e reazioni proprio del villaggio antico. Sistema totalitario, con norme feree e indiscutibili, accettate da tutti perché gli orizzonti della gente che vi abita non vanno oltre i confini angusti del villaggio. Si tratta dell’unico mondo possibile, per loro. 

giovedì 6 marzo 2014

Il nemico (Emanuele Tonon), di Domenico Calcaterra


Non credo che questo dittico d'esordio del teologo-operaio (come si autodefinisce) Emanuele Tonon sia stato scritto con l'intento di inchiodare i cattolici ingenui e teologicamente meno avvertiti, né tantomeno di fornire un supplementare appiglio agli sfegatati negatori del divino, gli indifferenti, gli atei convinti. Piuttosto nasce come esigenza di ricerca personale, folgorante restituzione in forma letteraria; declinazione narrativa di una ricerca teologica ancora in pieno fermento. Consumata dall'evidenza (ineluttabile per lo scrittore) di un Dio cieco e sordo rispetto alla sua creazione: che non torna, rimane assente. Un Dio pregato e bestemmiato, contumace ma pur sempre invocato, anche quando la ragione ne ha certificato l'evidente latitanza, la sua onni-impotenza a incidere nella vita dell'uomo. Vita dove l'unico vangelo vincente, da sempre, è la ragione del male: «dello sfavillante Lucifero», dei suoi tanti imbellettati leccaculo.

martedì 4 marzo 2014

Via Castellana Bandiera: specchio d'artista

Una Palermo femmina, ma anche maschia, anarchica e intrallazzatrice è il dipinto che Emma Dante affresca alla sua prima prova da regista cinematografica. Dal suo romanzo “Via Castellana Bandiera”, edito dalla Rizzoli, la Dante scrive la sceneggiatura del film omonimo insieme a Giorgio Vasta, altro scrittore palermitano D.O.C., e a Licia Eminenti. L’opera vince e convince nel complesso e rende maggiormente fruibile quella sperimentazione a cui la Dante ci ha abituati col suo Teatro. La trasposizione in pellicola esalta l’amara ironia già del romanzo e in più rende visibilmente godibili allo spettatore non passivo tutti i nostri conflitti di spazio e le contraddizioni materiali di una città e di un’Isola intera. Ciò che scorre sul grande schermo potrebbe apparire come una vicenda personale circoscritta a due, ma se questo è vero in parte, non sono solo i conti della palermitana Dante a rimanere sospesi, ma quello di tutti nella virtuale partita doppia dell’inconscio isolano. Nella piccola ambientazione di una strada tagliata all’interno di un’architettura disordinata, improbabile come casbah, dove immancabilmente svettano le parabole di Sky e il denaro contante che, più che sotto ai mattoni, viene custodito dentro al reggipetto delle “matri” e matrone e dentro i calzini lunghi, come nelle mutande, degli “omini di panza”, si consuma la vicenda delle duellanti automobiliste (Emma Dante ed Elena Cotta, rispettivamente Rosa e Samira) caparbiamente impuntate, in una strada senza direzioni obbligate da segnali, a non cedere la ruota, il passo, il movimento e la direzione all’altra per il raggiungimento della meta finale. C’è ignorante cattiveria in chi invece guarda dall’esterno e che travalica il conflitto delle due maschere silenziose che si studiano da dentro l’abitacolo. Gli altri, i vicini così come gli apparentati (più o meno parte della tradizionale famiglia ristretta come di quella nuova allargata), in apparenza sono pacifici ma subdolamente sollecitano il sangue e scommettono sulla vita dell’una contro l’altra.